I (re) magi

I (RE) MAGI


Una narrazione tra fede, storia e leggenda


Premessa

Nei racconti sulla vita di personaggi al centro di venerazione popolare che si tramanda di generazione in generazione, storia, leggenda e fede procedono affiancate: alle volte si toccano, altre si intrecciano, ed altre ancora si allontanano rimanendo però tra loro indissolubilmente legate. Poiché ne fede, ne leggenda, possono nascere senza una storia, questi tre elementi finiscono con il contaminarsi a vicenda perché se il racconto storico si occupa dei fatti accaduti, la leggenda si incarica di renderli straordinari, la fede di interpretarli alla luce di un credo religioso.
Così è stato anche per la vicenda dei Magi la cui fama si è conservata nei secoli rendendoli immortali, al pari degli eroi.


Profezie bibliche

Le raffigurazioni della nascita di Gesù è tra i soggetti che fin dalle origini del cristianesimo, ha trovato molto spazio nell’arte sacra.
La figura di Maria con il Bambino in braccio compariva fin dal II-III secolo nei semplici dipinti che adornavano i rifugi dei cristiani.
Uno dei più famosi compare nelle catacombe di Santa Priscilla a Roma nel quale si vede Maria nell’atto materno di allattare amorevolmente il bambino, ma nel quale è anche presente una terza figura maschile misteriosa che indica una stella a 12 punte numero corrispondente alle tribù di Israele. Il personaggio non può essere Giuseppe perché il padre “putativo” di Gesù incominciò ad apparire nelle rappresentazioni della natività solo a partire dal VI secolo grazie all’arte bizantina.
Sul chi potesse essere quel personaggio gli studiosi propendono per due figure di profeti del Vecchio Testamento, Isaia che in Is 9,1 dice “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”.
La stella potrebbe dunque rappresentare la “grande luce”, il promesso discendente di Davide, il Messia, colui che radunerà le dodici tribù di Israele.
Balaam, un pagano profeta biblico, indovino e mago, la cui profezia è riportata in Nu 24,17: “Io già lo vedo, ma non al presente, io lo contemplo, ma non da vicino: un astro spunterà da Giacobbe, uno scettro sorgerà da Israele. Egli schiaccerà le tempie di Moab, (moabiti nemici-amici degli ebrei) trafiggerà tutti i figli di Set” (Set figlio di Adamo ed Eva).

Si può quindi dire che questo antico dipinto non è una semplice rappresentazione religiosa ma una vera e propria esegesi per immagini che ha saputo mettere sapientemente in relazione le antiche profezie bibliche con il Vangelo.
Particolarmente rilevante è diventata nel tempo la figura del profeta pagano Balaam che era fortemente inviso agli ebrei che lo accusavano di avere formulato maldicenze sul loro popolo al fine di indurre Dio a disconoscerlo e sterminarlo.
Secondo poi una leggenda ebraica il Faraone egizio avrebbe avuto tre consiglieri per aiutarlo a prevenire una potenziale rivolta ebraica: Jethro, Job, e Balaam. Jethro consigliò la conciliazione. Job si astenne, ma Balaam consigliò di schiavizzare i Giudei.
Ma Dio salvò il Popolo eletto imponendo a Balaam di proclamare le Sue benedizioni.
Comprensibile dunque che l’ambiguo profeta fosse considerato dai Giudei un nemico e un traditore.
Va però detto che resistenza storica di Ballam è stata provata nel 1967 quando nella Transgiordania, è stata scoperta un’iscrizione in cui compare Balaam, figlio di Beor, come “veggente” a cui vengono attribuiti annunci di fortuna e disgrazia.
Si può quindi supporre che le sue profezie circolassero anche fuori dal giudaismo e fossero oggetto di riflessione per le persone in ricerca.
Forse per questo, numerosi Padri della Chiesa come Origene, Clemente di Alessandria, Gregorio Magno e Cromazio di Aquileia, considerarono Balaam un “profeta pagano” attendibile.
Origene (185-254), considerato imo dei principali scrittori e teologi
cristiani dei primi tre secoli, poteva così esprimersi in una omelia sui Numeri:
“Se le sue profezie furono inserite da Mosè nei sacri libri, quanto più furono descritte da quelli, che allora abitavano la Mesopotamia, presso cui Balaam era sommamente onorato e che consta essere stati suoi discepoli nella magia? Da lui si dice discendere la schiatta e l’istituzione dei Magi nelle parti dll’Oriente”
Con questa dichiarazione Origene riconosce al profeta la credibilità conferitagli da Mosè, il prestigio di cui gode presso il suo popolo in Masopotamia e per terzo che da lui discendono i Magi.
In questo modo Origene introduce un elemento decisivo: sovrappone la figura del profeta, indovino e mago Balaam, a Zaratustra, vissuto intorno all’anno mille in quei territori e considerato il primo profeta del monoteismo.
Mosè, Balaam e Zaratustra sono infatti personaggi tra loro contemporanei, vissuti agli inizi dell’anno mille AC.
Di Zaratustra ne parla anche il Vangelo Arabo dell’Infanzia (apocrifo del IV-V secolo) che fu scritto in una regione geografica e in un periodo in cui delle comunità di religione zoroastriana erano ben conosciute anche dai cristiani. Nel prologo si trovano queste profezie che riguardano la venuta di un Salvatore:
“nel nome di Dio clemente e misericordioso; vi era al tempo del profeta Mosè, a lui il saluto, un uomo di nome Zaradusht, ed egli è colui che inventò le scienze del magismo. E mentre un giorno stava seduto presso una sorgente, insegnando ai suoi seguaci la scienza del magismo, in mezzo al suo discorso disse loro (partorirà) senza rottura del sigillo della verginità; e (gioiranno i popoli) con il suo annunzio nelle sette parti del mondo”.
Dopo aver profetizzato la morte in croce e la resurrezione indicava il segno della Sua nascita.
“vedrete in oriente una stella più brillante, della luce del sole, e delle stelle che sono nel cielo, poiché essa non è una stella, ma un angelo di Dio; e quando l’avrete vista affrettatevi a mettervi in cammino verso Betlemme ad adorare il nato re ed offrirgli dei doni”.
Nell’assumere queste profezie pagane, Origene e gli altri padri delle Chiesa volevano indicare il convergere di tutta l’umanità verso Gesù Cristo testimoniata, non a caso, da profeti non ebrei.
Non può quindi sorprendere se proprio nelle catacombe di Priscilla, appare una delle prime, se non la prima, raffigurazione dell’adorazione dei Magi per indicare con chiarezza che Gesù non è venuto al mondo per la sola salvezza di Israele, ma di tutta l’umanità.
E’ proprio questa la chiave di volta per comprendere a pieno il senso della presenza dei Magi nella natività di Gesù.

I Vangeli

Della adorazione dei Magi, ne parla solo il Vangelo di Matteo.
Luca parla invece di un angelo che appare ai pastori abbagliandoli di luce e annunciando loro il lieto evento. Giovanni e Marco non si occupano dell’infanzia di Gesù.
Dice dunque l’Evangelista Matteo nel capitolo 11 ai versetti 1-12 “Dopo che Gesù nacque a Betlemme in Giudea, al tempo del re Erode ecco giungere a Gerusalemme dall’oriente dei Magi, i quali domandavano: dov’è il neonato re dei Giudei? Poiché abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti ad adorarlo.
All’udir ciò il re Erode fu preso da spavento e con lui tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo e domandò loro: dove dovrà nascere il Messia?
Essi gli dissero: a Betlemme di Giudea. Infatti così era stato scritto per mezzo del profeta: e tu Betlemme, terra di Giuda non sei la più piccola fra i capoluoghi di Giuda.
Da te uscirà un capo che pascerà il mio popolo, Israele.
Allora Erode chiamò segretamente i Magi e chiese ad essi informazioni sul tempo esatto della apparizione della stella: quindi li inviò a Betlemme dicendo: andate e fate accurate ricerche del bambino, in modo che anch’io possa andare ad adorarlo.
Essi, udite le raccomandazioni del re, si misero in cammino. Ed ecco: la stella che avevano visto in oriente li precedeva finché non andò a fermarsi sopra il luogo dove si trovava il bambino.
Al vedere la stella furono ripieni di straordinaria allegrezza; ed entrati nella casa videro il bambino con Maria sua madre e si prostrarono davanti a lui in adorazione. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.
Quindi avvertiti in sogno di non passare da Erode, per un’altra via fecero ritorno al proprio paese”.
Altre indicazioni importanti vengono però dai vangeli apocrifi, da quei vangeli cioè che la Chiesa non riconosce come canonici, ma che spesso riflettono nei loro graziosi e accattivanti racconti la predicazione orale dei primi tempi del cristianesimo raccogliendo frequentemente elementi popolari elaborati anche dalla tradizione estranea al cristianesimo stesso.
Troviamo così nel protovangelo di Giacomo, apocrifo del 11° secolo: «[I Magi] dicevano. Dove nato il re dei giudei? Abbiamo visto la sua stella nell’Oriente e siamo venuti ad adorarlo ... [Erode] interrogò i Magi, dicendo, Quale segno avete visto a proposito del re che è nato? I Magi risposero, Abbiamo visto una stella grandissima che splendeva tra queste stelle e le oscurava, tanto che le stelle non apparivano più. E così abbiamo conosciuto che era nato un re a Israele...Ed ecco la stella che avevano visto nell’oriente li precedeva finché giunsero alla grotta e si arrestò in cima alla grotta
Nel papiro Bodmer che è stato datato intorno all’anno 200 si dice al capitolo 41-42: “Ed ecco Giuseppe si preparò per andare nella Giudea. E una grande confusione ebbe luogo in Betlemme di Giudea.
Erano, infatti, giunti dei magi domandando: dov’è il Re dei Giudei? Abbiamo visto, infatti la sua stella in Oriente e siamo venuti a venerarlo” ... ed essa (la stella) si pose sulla testa del fanciullo. I Magi vedendo che stava con sua madre Maria, estrassero doni dalle loro bisacce, oro, incenso, e mirra.
E ancora al capitolo 16 del vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo, conosciuto già alla fine del 300.
“Trascorso il secondo anno, dei Magi vennero dall’Oriente a Gerusalemme portando grandi doni.
E subito interrogavano i Giudei, dicendo: dove il re che vi è nato? In Oriente infatti abbiamo visto la sua stella e siamo venuti ad adorarlo ... entrati nella casa, trovarono il bambino Gesù seduto sul grembo di sua madre. Aprirono allora i loro tesori e regalarono grandi doni alla beata Maria e a Giuseppe. Al bambino poi offrirono ciascuno una moneta doro; così pure uno offrì oro, un altro incenso, il terzo mirra.
Nel Vangelo della Natività e infanzia di Maria e di Gesù Disse allora Giuseppe “Mi alzo e vado incontro a questi uomini: Mi pare che tra loro vi siano degli àuguri. Ecco che ogni momento guardano il cielo e poi discorrono”.
Giuseppe aveva appena detto questo, che con passo veloce erano giunti alla grotta.
Giuseppe chiese loro chi fossero e per quale motivo erano lì giunti. Risposero “Perchè la guida del nostro cammino è entrata qui davanti a noi. Veniamo dall’Oriente ed è Dio che ci ha mandato qui. Il motivo poi della nostra venuta, è la comune salvezza.”
Oltre ai vangeli apocrifi della storia dei Magi ne parla il testo medievale la “Storia dei profeti” di Thà’labì (m. 1035) che è un testo che ricostruisce le vicende dei profeti biblici in chiave islamica.
Nella parte che riguarda la vita di Gesù che l’islam considera l’ultimo dei profeti prima di Maometto che è il sigillo alla rivelazione, vengono descritti prodigi, fatti miracolosi e fantastici intercalati da brani coranici, spiegazioni esegetiche e detti dello stesso Muhammad.
Si racconta che alla nascita di Gesù tutti i demoni si recarono da Satana per chiedergli cosa fosse successo poiché gli idoli terreni, attraverso i quali corrompevano gli uomini influenzandone la condotta, si erano tutti rovesciati a testa in giù.
Satana volò per l’universo intero da oriente a occidente ispezionando le terre i mari e la volta celeste. Quando passò per il luogo dove era nato Gesù, capì e tentò di ghermirlo dall’alto e poi da sotto terra ma gli Angeli lo respinsero e per proteggerlo dalle impudiche dita del maligno, come succedeva invece a tutti i comuni esseri umani, Dio Altissimo gli stese attorno un velo miracoloso contro il quale Satana nulla potè.
E in quella notte nella quale Gesù sconfisse il maligno, alcuni che credevano in Lui si misero in viaggio per seguire una stella perché, molto prima che nascesse, si raccontava che il suo apparire era il segno della venuta di un profeta. Costoro partirono per cercarlo portando con se oro, mirra e incenso. Sostarono presso un re della Siria e gli raccontarono tutto. Egli chiese loro dei doni e questi gli risposero che “ Sono sostanze che gli sono simili: l’oro è il signore di tutti i beni e allo stesso modo questo profeta, Dio lo benedica e gli conceda salvezza, sarà il Signore della gente del suo tempo; la mirra cura fratture e ferite e allo stesso modo, tramite questo profeta, Dio lo benedica e gli conceda salvezza, Dio curerà ogni bisognoso e ammalato; infine l’incenso perché il suo fumo è il solo a penetrare nel cielo e così questo profeta, Dio lo benedica e gli conceda salvezza, sarà elevato in cielo da Dio e nessun altro del suo tempo sarà elevato in cielo
Sentite queste cose il re siriano maturò segretamente il proposito di uccidere questo profeta, ma anche in questo racconto islamico i viandanti, avvisati da un Angelo non ritornarono dal re e tornarono ai loro paesi per un’altra strada.

I doni

Questo racconto islamico ci consente ora di porre l’accento sul significato dei doni che i Magi portarono a Gesù sottolineando il fatto che sull’argomento non vi sono differenze sostanziali tra i Vangeli canonici, quelli apocrifi e lo stesso racconto islamico l’evangelista Matteo recita: … ed entrati nella casa videro il bambino con Maria sua madre e si prostrarono davanti a lui in adorazione. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.
Oro, incenso e mirra, erano doni che Persiani e Caldei usavano portare ad un re ed erano simboli di regale potestà, maestà divina, ed umana mortalità essendo la mirra un unguento che veniva usato per i defunti. Una storia leggendaria sul destino dei tre doni venne scritta da Giovanni di Hildesheim (1310-20/1375), monaco carmelitano, teologo, scrittore e maestro alla Sorbona, nella “Storia dei Re Magi”. Riferendosi a versetti e racconti della Genesi, del libro dei Re e dei Vangeli Giovanni narra che l’oro di Melchiorre era in realtà costituito da trenta monete d’oro il cui conio fu fatto due mila anni prima per il re di Mesopotamia da Tare, padre di Abramo, quando si trovava ad Ur città della Caldea. Abramo le portò con se quando si trasferì a Hebron nella terra di Canaan e le adoperò per acquistare il campo destinato alla sepoltura della sua famiglia. Gli stessi trenta denari servirono poi a liberare Giuseppe venduto dai fratelli agli Ismaeliti. Morto Giacobbe, padre di Giuseppe, finirono nel tesoro del Regno di Saba per le onoranze alle sepolture di Giacobbe e Giuseppe.
Vennero successivamente depositati nel tesoro del Tempio di Gerusalemme, offerti dalla Regina di Saba durante la sua visita a Salomone. Ai tempi di Roboamo figlio di Salomone che governò dal 932 al 915 a.C., il tempio venne saccheggiato dal re degli Arabi che trasferì il bottino nei suoi forzieri.
Da lì, le trenta monete vennero prelevate molto tempo dopo da Melchiorre, re di Arabia, che le donò al Salvatore.
Successe però che Maria, nella concitazione della fuga in Egitto, perdesse il panno di lino nel quale aveva riposto i doni dei Magi. Il panno venne trovato da un pastore beduino che trattenne presso di se i preziosi doni fino a poco tempo prima della Passione di Cristo quando, giunto a Gerusalemme e guarito da Gesù, li offrì a Lui per ringraziamento. Gesù lo invitò a porli sull’altare del Tempio dove un ignaro sacerdote accese l’incenso e depositò le monete con la Mirra nella sala del tesoro del Tempio stesso. Le trenta monete furono prelevate e utilizzate dai capi dei sacerdoti per corrompere Giuda mentre la Mirra fu data a Gesù sulla croce mescolata al vino.
Riavuti i trenta denari restituiti da Giuda, i sacerdoti ne impiegarono una metà per comprare il silenzio dei soldati che avevano custodito il sepolcro (Matteo 28,12) e la restante metà per costruire vicino Gerusalemme un sepolcro sul campo del Vasaio per i forestieri che morivano in città (Matteo 27, 5-8).

Il numero e i nomi

Va osservato, a questo punto, che fino ad ora non abbiamo mai indicato quanti fossero i Magi: nemmeno Matteo lo dice.
Ma fu proprio in virtù di questi tre doni che papa S. Leone Magno, (440- 461) istituendo la festa dell’Epifania, stabilì proprio in tre il numero dei Magi.
“... E perché manifestino (i Magi) il mistero che credono e comprendono, significano con i doni quello che credono con il cuore. Offrono l’incenso a Dio, la mirra all’uomo, l’oro al re, venerando consapevolmente l’unione della natura divina e di quella umana, perché Cristo, pure essendo nelle proprietà delle due nature, non era diviso nella potenza.”
Così i Magi venivano chiamati attraverso i loro doni, a dare sostanza teologica alla nascita di Gesù.
Secondo poi una tradizione consolidata, ma non certamente unica, probabilmente mutuata da un vangelo apocrifo del VF secolo scritto ad Alessandria, i Magi vennero identificati con i nomi di Gaspare (Caspar), Baldassarre (Balthasar) e Melchiorre (Melchior) ed attribuite loro delle caratteristiche peculiari.
Gaspare era il più giovane dei tre e recava in dono l’incenso.
Baldassarre era un uomo di carnagione scura e portava invece la mirra. Melchiorre offrì l’oro ed era il più anziano, con i capelli bianchi ed una lunga barba.
In queste descrizioni e attribuzioni la tradizione popolare ha inteso individuare nelle figure dei tre Magi anche le tre età dell’uomo, gioventù, maturità e vecchiaia e le tre razze della famiglia umana: la europea (Gaspare), l’asiatica (Melchiorre) e l’africana (Baldassarre)

Da quale Terra

Disse dunque Giuseppe a Simeone. “Chi pensi siano questi che affrettano alla grotta ? Mi pare che vengano da un paese lontano, poiché il loro stesso vestito differisce dal nostro vestito”. Le loro vesti, infatti, erano amplissime e il colore della loro pelle era scuro. Avevano inoltre berretti sul capo e sarabare (calzoni lunghi persiani) alle gambe.
Così si legge nel Vangelo apocrifo della Natività e infanzia di Maria e di Gesù, e a cui dobbiamo far riferimento dato che Matteo non fornisce indicazioni precise in merito.
All’inizio quindi furono raffigurati nel classico costume persiano con “pantaloni” fino alle caviglie e berretto frigio sul capo. La raffigurazione più conosciuta è sicuramente quella musiva che si trova nella chiesa di S. Apollinare nuovo a Ravenna, risalente al VF secolo.
Nel 614 i Persiani di Cosroe II, in lotta contro l’impero Bizantino, occuparono Betlemme e pur avendo messo a ferro e a fuoco Gerusalemme e dintorni, risparmiarono la città dove era nato Gesù. La tradizione vuole che fossero distolti dall’originale proposito distruttivo, da un mosaico che forse ornava la parte superiore della facciata della basilica della Natività e che raffigurava i Magi vestiti appunto alla foggia dei sacerdoti persiani.
Non sappiamo cosa quel mosaico raffigurasse esattamente poiché non ci sono pervenute descrizioni precise dell’originale ma una indicazione potrebbe provenire da opere d’arte che si ritiene traggano ispirazione da quell’opera antica.
A differenza delle rappresentazioni iconografiche, diverse sono invece le ipotesi formulate sulla loro vera identità e che ancora oggi appassionano e dividono gli storici.
La linea prevalente, al di là delle tradizioni popolari, vuole i Magi membri di una casta sacerdotale persiana e poi babilonese che si interessava di astronomia e astrologia.
Secondo Erodoto (484-424 a.C.), la parola magos (plurale magoi) stava ad indicare un saggio sacerdote della antica regione asiatica della Media esperto in astrologia, interpretazione dei sogni e altre arti occulte.
I Magi esercitavano probabilmente un forte potere sacerdotale, che secondo papa Ratzinger non erano soltanto astronomi, ma “sapienti” che rappresentavano la dinamica dell’andare al di là di sé, caratteristica intrinseca alle religioni.
Il vescovo di Genova Jacopo da Varazze nella seconda metà del 1200 nella sua Legenda Aurea, un trattato ancora oggi molto consultato sulle biografie dei Santi, avverte che la qualifica di Magi può significare, ingannatore, incantatore o saggio: quelli evangelici appartenevano ovviamente a quest’ultima categoria confermando la linea dei padri della Chiesa.
Una ipotesi molto intrigante è quella che li vuole come astrologi appartenenti alla comunità ebrea degli Esseni formatasi proprio durante la cattività babilonese, (597-529 a.C.) entrando in contatto con la religione dualistica di Zaratustra. E’ infatti probabile che proprio nell’ultimo periodo babilonese la comunità Essena abbia costituito nella stessa Babilonia una setta eretica ebraica in seno allo zoroastrismo ortodosso, dotandosi di una propria “casta sacerdotale” e mutuando l’appellativo di Magi proprio dai sacerdoti di Zaratustra.
Secondo questa tesi i “Magi” del presepe sarebbero stati dei sacerdoti esseni a cui era stato affidato il compito di scrutare il cielo in attesa di un segno (la stella), che, come profetizzato da Balaam e dalla religione di Zaratustra, annunciasse l’arrivo del Messia.
Ciò stabilirebbe, una continuità storico-religiosa, tra la profezia biblica di Balaam, il dualismo zoroastriano, la sua variante eretica esseno-ebraica e il cristianesimo gnostico dei primi secoli.
Secondo questa lettura gli scrittori cristiani del 11° secolo avrebbero quindi scambiato, i “magoi” esseni con i magi dello zoroastrismo iranico del tempo. D’altra parte non possiamo non rilevare come questa teoria dei Magi Esseni sia concretamente compatibile con la tempestività dei Magi nel raggiungere la grotta di Betlemme.
Lasciando dunque la suggestiva ipotesi essena al vaglio degli storici e rientrando nel solco dei padri della Chiesa, ci si è chiesti a quale regno appartenessero i Magi: erano Persiani, Caldei o Sabei?
Jacopo da Varazze risolve l’enigma con un po’ di furba disinvoltura, collocando la patria dei Magi in un’area marginale di confine tra Persia e Caldea chiamata Sabea in virtù del fiume Saba che la attraversava. Giovanni di Hildesheim (1310-20/1375) che ha scritto la “Storia dei Re Magi” successivamente alla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, precisa invece al capitolo XI che Balthasar regnò nel regno di Saba terra ricca di incenso e nel regno di Godolia (Caldea) che si trovava nella seconda India.
Jaspar regnò nel regno di Tharsis (regione meridionale del Turkestan) terra ricca di Mirra appartenente alla terza India. Melchior era re di Nubia e degli Arabi.

La stella

Agli infedeli Dio concede dei segni, mentre ai credenti dona le profezie! Da generazioni, continua Jacopo, i conoscitori dei misteri ne sceglievano tra loro dodici che dopo essersi purificati salivano sul Mons Victorialis o monte Vaus dove per tre giorni scrutavano il cielo per avvistare la stella predetta da Balaam. Finché proprio nel giorno in cui nacque Gesù apparve loro una stella che aveva l’aspetto di un Fanciullo sulla fronte del quale brillava una croce e che li esortò a recarsi nella terra di Giuda dove avrebbero trovato un re appena nato, cosa che fecero immediatamente.
Oltre a quanto scritto da Jacopo da Varazze e dall’evangelista Matteo, possiamo ancora leggere nella così detta Versione Armena degli Apocrifi (fine del VI secolo) cosa accadde in Oriente in quella straordinaria notte.
Quella stessa notte fu inviato in Persia un angelo custode: esso apparve sotto forma di una stella di grande splendore che illuminò tutta la terra dei Persiani.
La stella si muoveva precedendoli, fino a quando si fermò al di sopra della grotta. Allora cambiò la sua forma e divenne simile a ima colonna di luce che si levava dalla terra al cielo.
I Magi arrivarono quindi alla grotta di Betlemme guidati da una stella che entrò così nella tradizione del presepe diventandone elemento immancabile e significativo.
Ma al di là del valore religioso- simbolico dell’astro, quale luce li guidò? A questo proposito tre sono le ipotesi prese in considerazione dagli astronomi ma nessuna sembra completamente esaustiva sia da un punto di vista astronomico che storico.

Una cometa: si è pensato alla suggestiva cometa di Halley che anche recentemente è apparsa nei nostri cieli, ma calcoli astronomici a ritroso ne collocano il passaggio nel 12 a.C., mentre la data della nascita di Gesù è stata fissata tra il 7 ed il 4 a.C. rimediando ad un antico errore di calcolo del monaco Dionigi, vissuto nel VI secolo, nel passaggio del conteggio degli anni dalla fondazione di Roma alla nascita di Cristo.
Ciò nonostante sarà proprio la cometa che entrerà nella rappresentazione del presepe grazie a Giotto che nei primissimi anni del 1300 dipinse l’adorazione dei Magi nella cappella degli Scrovegni a Padova.
Giotto aveva potuto ammirare il passaggio della cometa di Halley avvenuto nel 1301 e affascinato dall’evento ha dipinto l’astro di Betlemme chiomato, facendo entrare la stella cometa definitivamente nella tradizione del presepe.

Una “stella nova” o “supernova”: è un’ipotesi formulata dal grande astronomo polacco Keplero che nel 1604 fu testimone della “nascita” di una supernova che gli suggerì l’ipotesi che lo stesso fenomeno poteva essere stato visto dai Magi. Ora sappiamo che il fenomeno non indica la nascita di un nuovo astro quanto invece una sua intensa attività esplosiva (novae) se non proprio l’ultima gigantesca fiammata (super-novae) prima della distruzione.
Con il tempo questa ipotesi decadde perché la luminosità generata da queste stelle non è persistente nel tempo come invece sarebbe stato necessario secondo i tempi descritti nel Vangelo di Matteo Una congiunzione astrale: allo stesso Keplero non era però sfuggita, nel 1603, l’osservazione di una congiunzione astronomica, cioè di un allineamento o avvicinamento prospettico in cielo di uno o più corpi celesti. I pianeti Giove e Saturno, alcuni giorni prima di quel Natale, si erano allineati nella costellazione dei Pesci e facendo dei calcoli a ritroso si accorse che lo stesso fenomeno si era presentato uguale nel 7 a.C. Come sappiamo Keplero non era ancora a conoscenza dell’errore del monaco Dionigi e pertanto non fu in grado di collegare il fenomeno astrale con il tempo della nascita di Gesù.
Keplero rilevò ancora che l’evento del 7 a.C. fu particolare perché l’allineamento si era verificato non una ma ben tre volte: il 29 maggio, il 28 settembre e il 4 dicembre.
Bisognò attendere gli anni settanta del secolo appena trascorso perché un altro scienziato, questa volta inglese, David Hughes riprendesse la teoria scrivendo forse il più noto libro sulla stella dei Magi portando a sostegno anche l’importante ritrovamento di antichi documenti babilonesi che confermavano il triplice congiungimento del 7 a.C..
Per quanto riguarda gli elementi simbolici della congiunzione non può sfuggire che al tempo Giove era il pianeta simbolo della regalità, mentre Saturno era considerato il pianeta protettore del popolo ebraico. Inoltre i Pesci, segno d’acqua, erano da sempre associati a Mosè appunto “salvato dalle acque”.
L’ipotesi più probabile, ad oggi, potrebbe essere quella di un fenomeno astronomico che è passato sostanzialmente inosservato ai più e che invece venne decifrato e valorizzato soltanto da chi, astrologi o sacerdoti come appunto i Magi, fu in grado di apprezzarne l’eccezionalità.
Resta comunque il fatto che, al di là delle ipotesi scientifiche, un presepe senza lo sfavillio della stella sarebbe un presepe senza gloria.
Va ricordato però che differentemente nel Vangelo di Luca, l’annunciazione della nascita di Gesù ai pastori viene fatta da un angelo e non si fa menzione di alcuna stella.

Il ritorno

Ma che fine fecero i Re Magi dopo la loro straordinaria esperienza e dove alfine riposarono le loro spoglie?
Il Vangelo di Matteo dice: “Quindi, avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra strada ritornarono al loro paese.”
Quello che sorprende in questo atteggiamento, al di là della preoccupazione di non incontrare più Erode, è il fatto che non hanno avanzato pretese sul bambino, ma sono tornati alle loro case lasciando che il tempo si compisse a conferma che gli “illuminati”, quali loro certamente si ritenevano, non hanno la necessità di essere idolatri.
Ce chi osserva come questo solerte e deciso ritorno a casa dei Magi dopo aver visto il Bambino Gesù e riconosciutolo come il Salvatore, assomigli molto a come ancora oggi i monaci buddisti, riconoscono in un bambino di pochi anni il successore del Dalai Lama. Ma per capire quello che successe ai Magi dopo quello straordinario incontro dobbiamo riferirci alle varie tradizioni, leggende popolari o storie scritte nei secoli successivi, specialmente nel ME.
La tradizione occidentale più affermata si basa sulla più volte richiamata “Storia dei Re Magi” scritta da Giovanni di Hildesheim.
Di questa bellissima e per certi versi poetica storia che merita di essere letta per intero, ci limiteremo in questa caso a considerare brevemente le parti salienti che riguardano il loro destino dopo Betlemme.
Se per arrivare a Betlemme impiegarono miracolosamente tredici giorni per volontà di Dio, impiegarono ben 2 anni per ritornare nei loro territori a dimostrazione della differenza, dice Giovanni di Hildesheim, parafrasando Odorico da Pordenone, tra i tempi che regolano le cose del Signore, che tutto può, e quelli che regolano le faticose opere degli uomini.
I destini dei Magi e di Gesù si divisero: dopo trenta anni quel bambino di Betlemme, diventato uomo adulto, subì la morte in croce.
Dopo la sua ascensione in cielo gli apostoli si dispersero per il mondo per annunciare il Vangelo e Tommaso fu inviato a predicare il Vangelo in India. L’Apostolo in un primo momento rifiutò ma in sogno gli apparve Cristo che lo incoraggiò nella missione.
Secondo Origene, Tommaso evangelizzò, intorno al 42- 49, i Parti, i Medi, i Persiani e gli Ircani, popoli confinanti e in relazione con l’India dove, continua Giovanni di Hildesheim, vide in tutti i templi degli idoli locali il bambinello e la croce, effigiati con la stella.
Tommaso trovò ancora in vita i tre Re “sani e vecchi”, ai quali raccontò il Vangelo del Bambino che avevano adorato. Sapute queste cose i tre Magi si convertirono e si fecero battezzare insieme ai loro sudditi avvalorando l’apostolo nella sua predicazione con il racconto umile e diligente della avventura che avevano vissuto sotto la guida della stella.
Così Tommaso potè predicare a quei popoli con fedeltà e senza impedimenti la nascita del Signore, la sua divinità e umanità, la passione e la resurrezione che egli per altro visse e toccò veramente con mano.
Per tutte queste cose i tre Re fecero costruire sul monte Vaus una cappella in onore del Bambino che avevano adorato e che Tommaso consacrò con la stella e il segno della croce.
La cappella divenne meta di numerosi pellegrinaggi e per questo fecero costruire ai piedi del monte una “nobilissima e grandissima città” che chiamarono Seuwa.
Ordinati vescovi da Tommaso, costruirono altre chiese e dopo la morte dell’Apostolo andarono per tutte le città e i villaggi ordinando a loro volta preti e ministri di Dio: “tutte le genti obbedirono a loro non per paura ma per amore, non come a signori ma come padri e li amarono di un amore non finito”.
Non avendo però eredi, Giovanni di Hildesheim deduce che i tre re “furono primizia delle genti anche nella verginale dignità, offrendo per primi fra i popoli la verginità al Signore”.
Così Morto Tommaso per martirio nel 72, affinché vi fosse in perpetuo chi presenziasse alle cose spirituali nei loro regni, i Magi elessero un Patriarca a cui diedero il nome dell’Apostolo. Stabilirono che ad ogni morte, dovesse esserne nominato uno nuovo in modo unanime in segno di concordia.
Il potere temporale lo affidarono invece ad un’altra figura che chiamarono Prete Gianni in onore di Giovanni Evangelista e di Giovanni Battista, anche questo scelto con l’unanime consenso delle loro genti: doveva essere un re valoroso ed illustre che avrebbe guidato in perpetuo i popoli a lui affidati vigilando che malevoli sudditi, preti e vescovi non deviassero dalla vera fede.
Stabilirono che il detentore di questo alto potere non dovesse essere chiamato re o imperatore bensì Prete davanti al quale, per il potere divino che rappresentava, tutti i re e imperatori avrebbero dovuto inginocchiarsi.
Difficile non sentire in questo racconto, l’eco delle secolari diatribe per la supremazia che continuavano ad accompagnare i rapporti tra Impero e Papato durante tutto il Medio Evo di cui Giovanni Hildesheim, appunto, faceva parte.
Affidati così al Patriarca Tommaso e al Prete Gianni i sudditi dei loro regni, i tre Re distribuirono terre ed isole a principi del loro stesso sangue reale nominandoli in perpetuo principi di Vaus che nel 1200 portarono ad Acon (Acri), in Siria, libri e scritti in lingua ebraica e caldea sui tre re che lo stesso Giovanni di Hildesheim dice di aver consultato per scrivere la sua storia.
Portarono anche un prezioso diadema che dissero appartenuto a Melchiorre re di Nubia, ornato alla sommità con una croce formata da lettere caldaiche “e una stella nella forma come apparve ai tre re nel giorno della Nascita del Signore”.
La leggenda vuole che la preziosa reliquia venisse affidata in deposito al Maestro dell’Ordine dei Templari ma che alla condanna e scioglimento dell’Ordine avvenuto nel 1314, scomparve insieme all’ingente tesoro che i cavalieri custodivano.
“Il maestro e l’Ordine dei Templari trattennero presso di loro quel diadema con altri moltissimi nobilissimi ornamenti in un grande tesoro e da questo ebbero gran frutto”.
E’ evidente che nel suo racconto Giovanni di Hildesheim chiama in causa i Templari riferendosi ad avvenimenti storici che conosceva benissimo e le cui vicende si erano consumate qualche decina d’anni prima del suo scritto, riportando l’eco negativo che probabilmente ancora perdurava attorno a quei fatti.
Così pure da fiato alla leggenda del Prete Gianni che fu un tormentone che attraversò il periodo centrale delle crociate alimentato dalla speranza del Papa che realmente vi fosse ad est un potente e ricco re “cristiano” che attaccando da Oriente i musulmani permettesse ai baroni dei vari e litigiosi regni e ai superbi cavalieri degli Ordini Religioso Militari di Terra Santa, di stringerli in una morsa per sconfiggerli definitivamente. In sostanza il papa sperava in un intervento risolutore esterno che sopperisse alle vistose carenze politiche finanziarie e militari delle crociate, guidata dai “cristianissimi” ma inefficaci sovrani occidentali.
Speranza che divampò attorno al 1165 quando si diffusa la notizia di una lettera che il Prete Gianni aveva inviato a molti re cristiani ed in particolare a Manuele I Comneno imperatore di Costantinopoli e a Federico Barbarossa Imperatore del sacro Romano Impero.
Gli studiosi sono però arrivati alla determinazione che la lettera fosse un clamoroso falso probabilmente confezionato in ambienti clericali da un abile monaco europeo del tempo per sottolineare ancora una volta la supremazia del potere spirituale su quello temporale, in definitiva del Papa sull’Imperatore.
Molti furono di conseguenza i personaggi dell’estremo oriente che vennero di volta in volta identificati con la figura di Prete Gianni: tra di essi Gengis Khan (1155-1227) e i khan mongoli.
Più tardi Marco Polo (1254-1324) si dichiarò convinto di averlo individuato proprio tra i khan delle steppe mongole.
A questa storia provò a darci un taglio Odorico da Pordenone (1286-1331) che nel 1330 scrisse: “Dopo aver lasciato la terra del Catai sono arrivato nel Paese di Prete Gianni: quanto a lui non è vero nemmeno un centesimo di quanto viene dato per certo. La sua città più importante si chiama Tozan e nonostante sia la città più grande del suo regno, Vicenza sarebbe considerata più grande”.
Malgrado ciò la leggenda di Prete Gianni, ormai troppo radicata nell’immaginario europeo, non sarebbe morta. E la ricerca di questo mitico sovrano d’Oriente continuò nei secoli seguenti fino ai nostri tempi: Umberto Eco infatti manda il protagonista del suo romanzo storico “Baudino” proprio sulle tracce della favolosa terra di Prete Gianni.

Le spoglie ritrovate

Tornando ora ai Re Magi, sempre secondo Giovanni di Hildesheim alla loro morte furono sepolti in posizione eretta come se fossero vivi, nel sepolcro della chiesa che avevano fatto costruire e furono oggetto di grande venerazione da parte di molti pellegrini che Dio ricambiò con prodigi e guarigioni. Molto tempo dopo anche in quei benedetti territori nacquero eresie e i popoli divisi nella fede vollero ciascuno impadronirsi, per devozione o gelosia, delle spoglie del proprio Re tumulandoli in proprie sepolture mantenendo loro onore e venerazione.
Agli inizi del trecento Elena, madre di Costantino l’imperatore che aveva concesso la libertà di culto anche ai cristiani, incominciò a percorrere la Terra Santa alla ricerca dei luoghi e delle tracce della vita di Gesù. Costruì chiese e accumulò un gran numero di reliquie spingendosi fino nei territori dei Magi alla ricerca della loro sepoltura. Grazie alla sua fama e alle relazioni che poteva contare nell’impero romano riuscì a farsi consegnare, non senza qualche ostacolo da parte dei nestoriani che custodivano le spoglie di Jaspar, le spoglie dei tre re e li ritmi in ima sepoltura nella bellissima chiesa di Santa Sofia che lei stessa aveva fatto costruire a Costantinopoli. Li pose sotto “una grande colonna di marmo sopra la quale fu eretta la figura in bronzo dell’imperatore a cavallo riccamente dorata e nella mano sinistra regge , proprio secondo la tradizione imperiale, un rotondo pomo d’oro, mentre la mano destra indica 1’ Oriente quasi a minacciare i Saraceni ribelli”.
E’ qui evidente il richiamo di Giovanni di Hildesheim alle crociate, ma al tempo di Elena conquista mussulmana della Siria era ben lungi dal venire. Sarebbe infatti avvenuta nel VII0 secolo ad opera del grande Califfo Omar, diretto discendente di Maometto, che conquistò Gerusalemme nel 637.
Naturale che successivamente alla morte dell’imperatore e di Elena si pensasse anche al trasferimento delle spoglie dei Magi in occidente poiché la devozione nei loro confronti si andava a ormai affievolendo fino quasi a scomparire.
Sebbene Giovanni di Hildesheim faccia un po’ di confusione su date e omonimie, è opinione dei storici che le spoglie dei tre Re siano state traslate da Costantinopoli a Milano molto probabilmente nel IV secolo, periodo nel quale nella città lombarda vi furono due vescovi che si chiamavano entrambi Eustorgio.
Le spoglie, secondo la leggenda arrivarono via mare in Abruzzo dalla Dalmazia dove San Eustorgio, appunto, si servì per il trasporto di un carro trainato da due buoi uno dei quali però venne assalito e ucciso da un lupo che, ammansito dal santo vescovo, ne prese il posto. Giunto nei pressi di Milano il carro si fece straordinariamente pesante, tanto che il santo interpretandolo come un segno divino, fece costruire una chiesa proprio sul luogo dove il carro si era fermato e vi ospitò le preziose reliquie.
Va detto però che storicamente non ce alcuna notizia che attesti resistenza di un culto dei Magi ne a Costantinopoli ne a Milano.
Sappiamo invece che alla morte del S. Eustorgio avvenuta nel 355, i milanesi intitolarono a lui la chiesa e lo seppellirono al suo interno.
Il silenzio calò così sulle reliquie dei Magi fino al 1158 quando vennero “riscoperte” durante dei lavori di scavo effettuati nella chiesa milanese. Poiché da circa sessant’anni erano iniziate le crociate, qualche studioso ha avanzato l’ipotesi che le reliquie dei Magi siano state più realisticamente portate a Milano in quel periodo proprio, dai crociati. Sono infatti noti di quel tempo il traffico di reliquie con corollario di ritrovamenti “miracolosi” a dir poco sospetti.
Sta di fatto che nello stesso 1158 l’Imperatore Federico Barbarossa (1122-1190) scese in Italia con lo scopo di ristabilire la supremazia dell’impero sui comuni italiani e in particolare su Milano che guidava una lega anti imperiale costituita insieme a Brescia, Parma e Piacenza. Milano fu assediata dalle truppe imperiali e dopo due mesi dovette capitolare e sottostare a pesanti condizioni e spogliazioni, tanto che le reliquie e gli arredi sacri preziosi delle chiese della città vennero nascosti dai milanesi per sottrarli al saccheggio delle truppe dell’imperatore tedesco.
Federico, perseguendo con determinazione il suo fine, pensò anche di assecondare il suo arcicancelliere e arcivescovo di Colonia, Rinaldo di Dassel, che gli chiedeva le reliquie dei Re Magi, che l’imperatore aveva ritrovato grazie, sembra, alla delazione di un nobile milanese al quale aveva promesso salva la vita.
Rinaldo riuscì ad ottenerle adducendo il fatto che la ribelle Milano non era degna di ospitare le reliquie di coloro che rappresentavano il piegarsi dei poteri terreni dinanzi a quello celeste.
Secondo lo storico Franco Cardini, i Magi diventavano così una tessera importante nel mosaico della “Teologia Imperiale” romano- germanica, in una parola parte integrante della sacralizzazione del potere imperiale. Infatti l’ambizioso Rinaldo trasferì le reliquie a Colonia in terra germanica per fare della città un centro di culto e pellegrinaggio da affiancare alla vicina Aquisgrana che ospitava le spoglie di Carlo Magno del quale, per altro, aveva fatto iniziare la canonizzazione.
In sostanza l’abile arcivescovo cercava di avviare un culto “cattolico-imperiale” basato sul concetto di una monarchia sacra di derivazione divina, dandone ima plastica visibilità per affermare la superiorità dell’Imperatore sul Papa. Una contesa questa che continuava sebbene iniziata secoli prima con la lotta per le investiture tra Enrico IV e papa Gregorio VI.

Da Milano a Colonia

Rinaldo partì da Milano nell’estate del 1164 attraverso un percorso tenuto segreto per paura di aggressioni: ricorse perfino allo stratagemma di dichiarare che le spoglie che trasportava erano di suoi parenti morti di peste.
Si recò da prima a Pavia dove c’era l’accampamento del Barbarossa. In Piemonte passò per Vercelli e Torino, valicò le Alpi al Moncenisio e con un giro ampio attraversò la Borgogna, e poi la Lorena. Da qui navigando probabilmente sul Reno giunse il 23 luglio a Colonia dove depose con grande pompa le reliquie nella cattedrale di San Pietro.
Molti paesi piemontesi si fregiano ancora oggi dell’onore di aver ospitato le reliquie durante il loro trasferimento e molto spesso esibiscono toponimi e frammenti di reliquie a ricordo del passaggio.
La stessa certosa di Pavia, costruita alla fine del 1300, offre al visitatore diversi richiami alla figura dei Magi.
La città di Colonia vedeva così ribadito il suo ruolo fortemente voluto da Rinaldo di sede dell’Imperatore quale “Novus Christus”, rappresentante di Cristo in terra.
Rainaldo di Dassel dopo la traslazione delle sacre reliquie, nel 1167 seguì Federico nella spedizione che lo portava ad occupare Roma per imporre al soglio pontificio l’antipapa Pasquale III. Alessandro III, il papa legittimo, dovette fuggire in Francia ma, proprio quando la vittoria sembrava a portata di mano, le truppe imperiali furono colpite da quella che allora fu considerata una punizione divina: scoppiò la malaria, i tedeschi morirono come mosche e tra questi anche l’arcicancelliere Rainaldo di Dassel.
Alla fine Federico dopo vari rovesci militari fu costretto a piegarsi al papa e a Venezia nel 1177 dopo la dura sconfitta patita a Legnano ad opera della Lega Lombarda alla quale lo stesso Papa aveva aderito, baciò il piede ad Alessandro IIP riconoscendo la legittimità della sua elezione. Mentre era in ginocchio e con il capo chinato a terra, il Papa gli mise il piede sulla testa recitando il versetto biblico “Calpesterai Iaspide e il basilisco” (mostro mitologico considerato re dei serpenti): fu la resa totale del potere imperiale all’autorità ecclesiastica.
Come si può notare, tutti questi avvenimenti storici avvennero attorno o subito dopo il 1165, periodo nel quale viene datata la comparsa della già citata lettera del Prete Gianni indirizzata tra gli altri, proprio al Barbarossa. Poiché, come detto, era stata confezionata in ambienti ecclesiastici e visti i turbolenti avvenimenti del tempo, ne esce confermata l’ipotesi che lo scopo degli estensori era di far riflettere la fazione imperiale sul fatto che nel regno del Prete Gianni, dove il Potere spirituale aveva la supremazia ed era difeso e salvaguardato da quello temporale, regnava la pace e la serenità.
Toccò in fine al successore di Rainaldo, Filippo di Heinsberg, costruire una grande e preziosa arca in oro e argento dove custodire le sante reliquie.
I pellegrini si moltiplicarono, e Colonia diventò una importante meta di pellegrinaggio al pari di Santiago di Compostela e Roma, tanto che papa Innocenzo IV (1243-1254) stabilì nel 1247 indulgenze a chi si fosse recato in pellegrinaggio a venerare le spoglie dei Magi Nel 1248 iniziarono i lavori di modifica della cattedrale e si disse che le concomitanti e feroci scorribande dei Mongoli per l’Europa puntassero a raggiungere proprio Colonia per recuperare le spoglie dei tre re che loro, cristiani nestoriani, consideravano come antenati: era la ennesima identificazione del Khan dei mongoli con il prete Gianni I lavori proseguirono fino al 1560 ed il Petrarca, in visita a Colonia, scrisse: “Fio visto in mezzo alla città un tempio bellissimo, sebbene incompleto, che non immeritatamente chiamano sommo”.
La costruzione subì ancora lunghe interruzione fino all’ottocento, sia a causa della mancanza di mezzi finanziari, sia per la posizione “difficile” di Colonia, avamposto del Cattolicesimo nella protestante Germania, determinata nel 1555 dalla regola “cuius regio eius religio” con la quale i sudditi dovevano adottare la religione del principe che li governava.
La cattedrale fu comunque completata come noi oggi la ammiriamo, soltanto nel 1880.
Vi furono nel frattempo dei tentativi operati in epoche diverse da nobili, cardinali e papi per riportare le preziose reliquie dei Magi in Italia, ma tutti fallirono.
Soltanto nel 1904 l’allora cardinale di Colonia, Ficher, offrì alla chiesa di S. Eustorgio di Milano alcuni frammenti delle reliquie che il cardinal Andrea Carlo Ferrari arcivescovo di Milano collocò nei primi giorni di gennaio in una urna di bronzo nella chiesa di San Eustorgio, accanto all’antico sarcofago romano in pietra che mostra ancora oggi la scritta “Sepulcrum Trium Magorum” , sepolcro dei tre Magi con la stella ad otto punte che li guidò a Betlemme assurta nel tempo a simbolo della stella polare e della rosa dei venti.
Per capire quanto sia stato difficile per Milano raggiungere questo risultato, basti pensare che ancora oggi a Colonia si celebra il 24 luglio la festa della traslazione delle reliquie dei Magi dalla città lombarda.

Marco Polo e Odorico Da Pordenone

Come si vede le varianti gli intrecci storici, religiosi e leggendari sulla vicenda dei Magi non mancano: possiamo dire che l’unica certezza storica è la traslazione di reliquie da Milano a Colonia avvenuta nel 12° secolo, in pieno Medio Evo.
Ma un secolo dopo, alla fine del XIII secolo (1270 circa) Marco Polo scriveva sul Milione che aveva visto le tombe dei Magi a Saba. Sebbene non avrebbe dovuto ignorare che le reliquie dei Magi si trovavano a Colonia, Marco afferma: “In Persia è la città eh’ è chiamata Sabba (Saba), dalla quale si partirono li tre re che andarono ad adorare a Cristo quando nacque. In quella città sono seppelliti gli tre magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti intieri e co’ capegli. L’uno ebbe nome Baltasar, l’altro Melchior, e l’altro Guaspar. Messer Marco domandò più volte in quella città di questi tre re: ninno gliene seppe dire nulla, se non ch’erano tre re seppelliti anticamente. E andando tre giornate, trovarono un castello chiamato Galasaca (Cala Ataperistan), cioè a dire, in Francesco, castello degli oratori del fuoco. È ben vero che quegli del castello adorano il fuoco, ed io vi dirò perché. Gli uomini di quello castello dicono che anticamente tre re di quella contrada andarono ad adorare un profeta, lo quale era nato, e portarono tre offerte: oro per sapere s’era signore terreno, incenso per sapere sera Iddio, mirra per sapere s’era eternale.” Secondo lo storico Franco Cardini, la “dimenticanza” si spiega con il fatto che, essendo Marco Polo uomo medievale, era abituato a conoscere varie sepolture del medesimo santo in luoghi e città diverse magari in concorrenza fra loro. Infatti nel Medio Evo le città fondavano parte del loro prestigio sul possesso delle reliquie di un santo che, richiamando molti pellegrini, consentiva di organizzare con profitto economico rilevante fiere e mercati.
Marco riporta anche ciò che gli abitanti di quei luoghi gli raccontavano e cioè che i Magi dopo aver dato i doni a Gesù bambino, ricevettero da Lui un contenitore che i re a distanza di giorni sulla strada del ritorno aprirono. Trovandovi una pietra e non comprendendone il senso, la gettarono in un pozzo. Subito un fuoco scese dal cielo dentro al pozzo e quel fuoco non si spense più. I Magi pentiti portarono quel fuoco nei loro templi e lo adorarono come Dio.
Altro viaggiatore del tempo è stato il beato Odorico da Pordenone anch’egli incamminatosi sulla via della seta. Nel resoconto del suo viaggio del 1320 afferma che la città dei Re Magi era Cassam l’attuale Kasham, a sud del mar Caspio e di Teheran, nell’attuale Iran.
“Da questa città (Sodoma) me ne andai per mezzo di una nave verso l’Alta India. Così in molti giorni giunsi ad una città dei tre Re che fecero doni a Cristo appena nato. E chiamano questa città Cassan, città reale e di grande onore, ma i Tartari l’hanno molto distrutta. Da questa città di Cassan fino a Gerusalemme ci sono più di cinquanta giornate, dal che si può vedere chiaramente che i tre Re, che da quella città di Cassan giunsero e furono condotti in tredici giorni a Gerusalemme, che questo fu per virtù divina e non umanamente. In questa città ce grande abbondanza di ogni bene, di pane, di vino, e di tutte le altre cose”.
Intervento divino ripreso, come abbiamo visto, anche da Giovanni di Hildesheim.
Anche Odorico non fa cenno a Colonia. Qui il motivo potrebbe essere più sottilmente politico considerando il fatto che Papa Bonifacio VIIF al momento della sua consacrazione a Pontefice nel 1295 aveva voluto essere incoronato con ima tiara a doppia corona quale simbolo del duplice potere spirituale e temporale esercitato dal papa. Agli inizi del trecento era avvenuto il forte dissidio di Bonifacio VIII con Filippo IV re di Francia che voleva costituire ima Chiesa francese o “gallicana” sottoposta al potere statale. Alla morte di Bonifacio la sede papale venne trasferita ad Avignone in Francia nel 1305. Le crociate erano finite male con il ritiro dalla Terra Santa nel 1291 a seguito della sconfitta di Acri mentre l’Ordine dei Templari pilastro, nel bene e nel male, delle crociate, era stato annientato nel 1314 a causa delle accuse di Filippo il Bello.
E’ probabile dunque che Odorico da Pordenone, abbia cercato di de-potenziare la valenza spirituale e politica che le reliquie dei Magi conferivano a Colonia e al suo imperatore.
Oppure più semplicemente Odorico uomo di carattere mite fino all’ingenuità francescana, ha riportato nel suo racconto ciò che gli veniva narrato da chi aveva incontrato nel suo viaggio, accettando anche storie fantastiche che probabilmente non aveva avuto la possibilità di verificare
Certo è che Impero e Papato dopo secoli di contrasti, erano istituzioni ormai avviate verso una crisi irreversibile, attaccate dalle emergenti monarchie Nazionali che ne rifiutavano, contestandolo, lo spirito universalistico che le aveva caratterizzate per tutta l’epoca medievale.
Così anche l’importanza simbolico-politica dei tre Re Magi perse gradualmente ma irreversibilmente prestigio.

Il giudizio di un papa del XXI secolo

Prima di ima conclusione finale riportiamo a conferma di quanto fin qui espresso, le riflessioni fatte a più riprese da Papa Benedetto XVI sui Re Magi.
“Facendosi uomo nel grembo di Maria, il Figlio di Dio è venuto non solo per il popolo d’Israele, rappresentato dai pastori di Betlemme, ma anche per l’intera umanità, rappresentata dai Magi”.
Il Papa poi chiedendosi che genere di persone fossero, ha manifestato la convinzione che si trattasse di uomini “in ricerca” della vera luce in grado di indicare la strada da percorrere nella vita.
Erano persone certe che nella creazione esiste quella che il papa definisce la “firma” di Dio, ima firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare perché il linguaggio del creato ci permette di percorrere un buon tratto di strada verso Dio.
Da uomini saggi, sottolinea ancora papa Benedetto, sapevano però che non è con un telescopio qualsiasi, ma con gli occhi profondi della ragione alla ricerca del senso ultimo della realtà e con il desiderio di Dio mosso dalla fede, che è possibile incontrarlo, anzi si rende possibile che Dio si avvicini.
I Magi, avverte il papa, hanno incontrano da Erode gli studiosi, i teologi, gli esperti che sapevano tutto sulle Sacre Scritture, che ne conoscevano le possibili interpretazioni, capaci di citarne a memoria ogni passo. Un aiuto certamente prezioso per chi vuole percorrere la via di Dio, a patto però, come afferma sant’Agostino, che non amino solo essere guide per gli altri limitandosi ad indicare la strada, non si rifiutino di camminare, non rimangano immobili.
Per costoro la Scrittura è solo un atlante per la loro curiosità, una quantità di concetti da passare al vaglio e sui quali discutere. Un atteggiamento dunque esattamente contrario a quello dei Magi.

Conclusione finale

Riflettendo su questa storia possiamo notare come i Magi, non ancora proclamati Re dalle ragioni della storia e della politica medievali, siano ritornati senza clamore ai loro Paesi.
Non hanno preteso di sottrarre il bambino alla sua povera famiglia per educarlo al loro sapere e alla loro scienza, ne hanno costruito in suo onore un nuovo tempio del quale proclamarsi sacerdoti.
Hanno lasciato che il tempo si compisse, secondo la volontà di Chi aveva mandato loro il segno della stella. Chi ha fede non ha bisogno di idoli. Questo è il loro grande insegnamento.
Infatti la vita pubblica di Gesù sarebbe iniziata ben trenta anni dopo confermando a tutti con il Battesimo nel Giordano e le nozze di Cana, quella sua prima “Epifania” concessa a dei Magi, stranieri venuti dall’Oriente. Toccherà a Paolo di Tarso, ebreo della diaspora e cittadino romano, fare una drammatica esperienza di incontro con Dio ed accorgersi che il messaggio della nascita morte e resurrezione di Gesù non poteva riguardare solo gli ebrei ma tutti gli uomini. Proprio come avevano pensato i Magi osservando la stella.


Benvenuto Sist