Introduzione

“La tradizione serve a mantenere il fuoco acceso, non ad adorare la cenere”.
Credo che niente più di questa frase descriva meglio il senso della tradizione del Presepe.
Come noto il primo fuoco lo accese, San Francesco la notte di Natale del 1223 in quel di Greccio.
Prima di lui e fin dai primi secoli del cristianesimo, le rappresentazioni sacre e le opere d’arte sulla nascita di Gesù non erano certamente mancate ma Francesco con il suo presepe “vivente” più che introdurre una “novitas” volle indicare con quale spirito bisognasse avvicinarsi al mistero della nascita di Cristo.
Infatti così disse all’amico incaricato di assecondare il suo desiderio “Vorrei vedere il Bambino nato a Betlemme come se in qualche modo vedessi (per l’uomo del medio evo vedere significava poter toccare) i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”.
Sopra la greppia venne collocato l’altare dove venne celebrata la Santa Messa da un sacerdote mentre Francesco predicò il Vangelo.
San Francesco moriva il 3 ottobre 1225 senza più ripetere quella esperienza. La strada da percorrere per arrivare al presepe così come oggi noi lo conosciamo, era ancora molto lunga.
Verso la fine del duecento vennero realizzate due opere che sono i veri antesignani del presepe statico, con figure separate e scolpite a “tutto tondo”: quello ligneo ancora oggi conservato nella chiesa di Santo Stefano a Bologna e quello realizzato in pietra da Arnolfo di Cambio che si trova nella basilica romana di Santa Maria Maggiore, anche se in quest’ultimo caso le figure, facevano originariamente parte di un alto rilievo compatto.
Nel 1330-1340 la regina Sancia, dal 1309 moglie di Roberto D’Angiò e per tanto Regina di Sicilia e Gerusalemme, fece costruire per le Clarisse verso le quali nutriva una particolare affinità spirituale, un presepe in legno con figure staccate per il monastero di S. Chiara di Napoli.
Fù però nel quattrocento che il presepe incominciò finalmente ad uscire dall’ambito strettamente artistico per approdare nelle chiese.

A partire dal Cinquecento si verificò in tutta Italia un’intensa produzione di presepi per chiese favorita dal Concilio di Trento (1545 - 1563) che stabilendo norme precise sul culto dei santi e delle reliquie, incoraggiò la diffusione del presepio quale espressione della religiosità popolare. Nelle mani dei Gesuiti, il nuovo ordine religioso costituito qualche anno prima del Concilio, il presepe divenne uno strumento per evangelizzare le terre di recente scoperte del Nuovo Mondo e per riconquistare i Paesi che avevano accolto la riforma protestante.
I Gesuiti fecero costruire anche preziosi e fastosi presepi tanto che quest’usanza si estese velocemente nelle chiese di tutta l’Europa cattolica, finché ogni comune volle un presepio in ogni chiesa da contrapporre all’albero di Natale voluto da Martin Lutero.
Intano a Napoli, aveva fatto la sua apparizione un presepe moderno: la tradizione ne attribuisce la paternità a San Gaetano da Thiene che nel 1534 ne aveva allestito uno con statue lignee vestite con i costumi dell’epoca.
Finalmente nel 1579 anche una norma dei frati Minori francescani prescrisse a tutte le case di spiritualità dell’Ordine di allestire un presepe. Nel 1581 il francescano spagnolo Juan Francisco Nugno che dimorava a Roma, incaricato di condurre una ricerca sui conventi romani, attestava che “in Italia si rappresenta il presepio non soltanto nei nostri conventi, ma anche nelle chiese secolari...”.
Con il passare del tempo, il presepe perdeva la sua primitiva semplicità legata alla simbologia medievale, assumendo invece i caratteri tipici e i personaggi del luogo dove veniva ambientato.
E’ infatti nel corso del Seicento che comparvero e si svilupparono effetti scenografici che riproducevano gli aspetti della vita quotidiana del tempo, delineando la cultura di chi li produceva.
Così il presepio incominciava ad uscire dalle Chiese per fare il suo ingresso nelle case patrizie ed alto borghesi, come oggetto di arredamento di lusso, da rimontare di anno in anno con effetti sempre differenti. Venivano usati manichini in legno con il capo e gli arti in terracotta, legno o cera che favorivano la personalizzazione di abiti e luoghi.
Nel seicento, dunque, si affermò il presepe mobile a figure articolabili, il cui primo esempio fu quello allestito dai padri Scolopi nel Natale del 1627.

Nel Settecento, finita la dominazione spagnola, Napoli diventata capitale di un regno autonomo governato da Carlo II di Borbone, divenne anche la capitale dell’arte presepiale favorita dal mecenatismo del proprio sovrano amante della cultura e delle arti.
Le famiglie nobili napoletane gareggiarono su chi avesse il presepe più bello dedicando per la sua realizzazione intere camere dei loro appartamenti e rendendolo sfarzoso ricoprendo le statue con tessuti pregiati e gioielli autentici.
Tutto questo interesse attorno al presepe domestico spostò certamente l’attenzione dal presepe dalle chiese alle case, non solo quelle nobiliari. Il Settecento portò conseguentemente anche importanti novità: la riduzione della grandezza delle statue che scese a 40 centimetri circa, dette “terzine”, e i primi presepi con parti in movimento.
A Roma, i “pupazzari” iniziarono la produzione di statuine in terracotta allargando l’usanza all’interno dello Stato Pontificio interessando in modo particolare le zone dell’Umbria e delle Marche.
Ma la fine del settecento, marcata dall’Illuminismo e dalla Secolarizzazione, portò in alcuni Paesi alla eliminazione dei presepi dalle chiese che però, come successe in Baviera, trovarono pronto rifugio nelle case contadine dove non solo vennero custoditi, ma continuarono a evolversi. Si apriva così la nuova stagione di presepi più sobri e popolari.

Esauritasi la grande committenza nobiliare ed ecclesiastica, gli allestimenti dei presepi dell’ottocento passarono dagli artisti agli artigiani che incominciarono a produrre figure a basso costo in argilla, gesso o cartapesta e di altezza ridotta a quindici venti centimetri per soddisfare le esigenze di un pubblico più vasto appartenente a tutti gli strati sociali. Il presepe diventò popolare recuperando nel contempo lo spirito poetico della rappresentazione della Natività: ogni famiglia potè allestire il proprio con statuine progressivamente in terracotta, cartapesta o gesso.
Si può dire che in questo modo la gente “entrò” nel presepe riproducendo paesaggi caratteristici e identificandosi nelle statuine che rappresentavano la vita quotidiana e i lavori del tempo.
Nelle nostre zone prevalentemente contadine si ricreavano pianure verdi con il muschio, corsi d’acqua cristallina e sullo sfondo i monti innevati. Un paesaggio ben diverso dalla terra di Palestina dove Gesù era nato.
Unica significativa eccezione i Magi, stabilmente e rispettosamente diversi.
La stalla non era la grotta dei pastori o il caravan serraglio orientale, ma la nostra stalla nella quale nelle fredde sere d’inverno le famiglie si radunavano per stare al caldo delle bestie, rammendare, chiacchierare e per i giovani, “fare il filo” a qualche ragazza.
Così era anche la Borgomeduna degli anni cinquanta.
Nella sala cappella fortemente voluta nel 1952 dall’arciprete di San Marco Luigi Peressutti, parrocchiani come Giancarlo Magri o Sandro De Franceschi si occuparono del presepe in chiesa, creando le scenografie e disponendo le statue di gesso su ima piattaforma rialzata sulla destra dell’altar maggiore.
Giancarlo Magri dipingeva i fondali su dei pannelli mentre Sandro De Franceschi costruiva le montagne con la carta da pacchi colorate con tinte da lui stesso create. Per sfumare i colori si serviva della pompa manuale con piccolo serbatoio che solitamente si usava in casa per spargere il DDT, l’insetticida popolarmente conosciuto come “flit”.
I prati erano marcati dal verde vellutato del muschio raccolto qualche giorno prima ed asciugato stendendolo in cucina vicino alla stufa a legna per evitare che l’umidità danneggiasse il gesso delle statue.
Per rappresentare invece il deserto dal quale far arrivare i Re Magi, unico ma significativo legame con la Palestina dove era nato Gesù, Sandro De Franceschi si procurava la sabbia fine dalla fonderia delle officine Savio che provvedeva poi a setacciare accuratamente per eliminare le piccole e luccicanti impurità di metallo.
Di quei allestimenti riportiamo la preziosa testimonianza di un chierichetto dell’epoca, Beniamino, dei Brusadin di Borgocampagna: “Mi ricordo che il presepe era collocato sulla parete di fondo della chiesa, a destra dell’altare maggiore appoggiato su un basamento rialzato sostenuto dai vecchi banchi di scuola in legno a due posti che nella parte restante dell’anno servivano per il doposcuola e per le lezioni di dottrina tenute dalla Catina Gaspardo e dalle suore. Aveva una superficie di circa 4 metri per 4.
Questo presepe veniva “inaugurato” la sera della vigilia di Natale con la deposizione della statua del Bambino Gesù nella mangiatoia.
Don Angelo portava tra le mani il bambinello che era più grande di tutte le altre statue: io salivo sopra il presepe, ricevevo la statua e la deponevo nella mangiatoia.
Ricordo che c’era anche un piccolo pozzo e poi cerano tre belle statue di re magi. La capanna che veniva fatta con corteccia d’albero occupava molto spazio ed era grande rispetto alle statue circostanti. “
E’ evidente da questa descrizione, che il presepe era allestito con appropriati effetti prospettici che portando la capanna e il bambino Gesù in primo piano consentiva di renderli vicini ai fedeli.

Ma nei primissimi anni sessanta il primo parroco di San Giuseppe in Borgomeduna, Don Angelo Pandin, istituì i presepi “viventi” con i personaggi interpretati da bambini e ragazzi i cui costumi erano mirabilmente cuciti dalla Prima Marcolin coadiuvata da Suor Rosetta. La prima edizione avvenne nel 1961 ed ebbe un notevole successo richiamando visitatori da tutta la città.
Nei seguenti anni contrassegnati dalla contestazione giovanile apparvero scenografie “moderne” che volevano richiamare nell’osservatore le tematiche sociali tipiche del sentire di quel periodo. Progressivamente il presepe tradizionale scivolò inesorabilmente in un periodo di “disinteresse” come tante altre forme di rappresentazione religiosa considerate non più attuali e quindi da accantonare.
Così anche le statue del vecchio presepe in gesso vennero riposte nella soffitta della canonica avvolte nelle pagine del giornale il “Corriere della Sera” che portavano le date del 6 e del 13 gennaio 1972.
Nel frattempo, a partire dall’estate del 1971 erano iniziati i lavori di costruzione della nuova chiesa di Borgomeduna che si conclusero nel marzo del 1973. Seguendo la scansione di queste date viene spontaneo pensare che il vecchio presepe non sia mai stato esposto nella nuova chiesa. Questo non perché in questa non si allestissero presepi, ma per il semplice motivo che venivano ideati seguendo rinnovate finalità pastorali.
Tra i curatori dell’epoca si ricorda il pittore Sergio Perini che, sia detto per inciso, in questo natale 2015 da il via al progetto del “presepe degli artisti” dipingendo la natività su tavole in legno.
L’idea è stata lanciata dall’attuale parroco Don Flavio Martin che esporrà le immagini nel giardino della chiesa, sotto una capanna realizzata da Adalberto Cornacchia e Armando Piccoli bravi e collaudati modellisti di pregevoli presepi.
Il vecchio presepe in gesso fu così dimenticato del tutto fino a quando, a distanza di quasi cinquantanni, è stato ritrovato da Egisto Parpinelli durante lo svuotamento della soffitta della canonica. Grazie alla sua accorta attenzione derivante dal collaborare spesso alla realizzazione di scenografie e oggetti di scena per amici attori, è stato salvato da una frettolosa rottamazione.
I gessi vennero così ricomposti alla meglio e posti in un luogo più sicuro da dove sono stati finalmente prelevati per essere sottoposti a restauro conservativo.
Se, come già detto, alcune statue risultavano rotte, tutte mostravano le bianche ferite del gesso e i tentativi improvvisati e maldestri di riparazione fino a stravolgere completamente parti e colori.
Dobbiamo alla generosità e all’affetto per la parrocchia della sua gioventù di Gian Carlo Magri se sono tornate, grazie alle sue sapienti mani, al loro originario splendore.

Viste le vicissitudini è molto probabile che alcune figure del presepe originario siano andate irrimediabilmente rotte o perdute: tra queste purtroppo il Gesù bambino!
Non sembrando corretto sostituirlo con uno proveniente da altro presepe, è stato considerato più consono mettere al suo posto un modellino stilizzato della stella che si trova nella basilica della Natività di Betlemme, posta dove si vuole sia nato Gesù. La stella metallica originale è tuttora saldamente imbullonata al pavimento. L’intervento è stato voluto dai frati francescani della Custodia di Terra Santa per evitare che, a causa delle diatribe religiose tra i cristiani di quella martoriata terra, possa essere asportata dai cristiani Greci come era avvenuto il 25 aprile 1873.
Da quella volta, per garantire il rispetto dello “statu quo” ed evitare ulteriori litigi tra i cristiani, un soldato turco e quindi mussulmano, è stato incaricato di montare la guardia presso l’altare della Natività.
La stella ha quattordici punte per ricordare il numero delle 14 generazioni che sono intercorse da Abramo a Davide, delle 14 passate da Davide alla deportazione in Babilonia ed infine le ulteriori 14 trascorse dalla deportazione in Babilonia a Gesù Cristo (Vangelo di Matteo 1,17) Speriamo che quella stella nella quale c’è scritto in latino “Qui dalla Vergine Maria è nato Gesù Cristo” da elemento di divisione tra i cristiani diventi finalmente motivo di unità e pace.

Ora il presepe ritrovato verrà posto in ima apposita teca collocata in una saletta attigua alla cripta della chiesa dove potrà essere visitato. La speranza è che altri presepi possano essere affiancati in modo che chi viene dopo di noi abbia una traccia tangibile di come la tradizione del presepe sia stata declinata nella parrocchia di Borgomeduna e possa avere così l’opportunità di continuare a documentarne l’evoluzione. Perché, per dirla con la compositrice musicale Janet Graham,

“Fare un presepe è, di per sé, un atto di riverenza; è una preghiera viva, forse la più universale di tutte le preghiere del Natale”.


Massimo e Sofia Buset
Benvenuto Sist
Valter Toffolo